Una prima visione prospettica dei fatti inerenti la pandemia covid-19 ci porta a riflettere sulla posizione assunta dall'Inail pochi mesi dopo il suo inizio.
Il dato fornito dall'Inail al 15 maggio 2020, in merito all’impatto del Covid-19 sulla salute dei lavoratori, parlava di 43 mila denunce di contagio da coronavirus in occasione di lavoro, delle quali 171 erano per casi mortali, la metà relative a personale sanitario e assistenziale.
Rispetto al dato del 4 maggio i numeri erano cresciuti in modo impressionante: +6000 le denunce, +42 i decessi. In quei giorni l'ISS contava 225 mila casi di contagi da Covid in Italia ma l'Inail metteva in guarda dal mettere in relazione le due grandezze "innanzitutto per la più ampia platea rilevata dalll'Iss rispetto a quella Inail riferita ai soli lavoratori assicurati, e poi per la trattazione degli infortuni, in particolare quelli con esito mortale, per i quali la procedura presenta maggiore complessità dato l’attuale contesto, del tutto eccezionale e senza precedenti, di lockdown".
Come noto, per altro, il tema fu oggetto di una feroce polemica.
Le aziende denunciarono gravi ostacoli alla riapertura derivanti dal fatto che il contagio era stato equiparato agli infortuni sul lavoro e temendo perciò possibili ricadute penali per chi avesse lavoratori contagiati. Con successive circolari, l'Inail chiarì che le due cose (accertamento dell'infortunio ai fini dell'assicurazione e responsabilità penale) non procedono di pari passo. In sostanza, il datore di lavoro avesse applicato i protocolli di sicurezza e le linee guida governative e regionali non sarebbe stato responsabile dell'eventuale malattia di un dipendente, proprio come avviene per i virus in genere. Questa nota teorica, calata in un contesto di esperienze tutt'altro che rassicuranti, sollevò facili perplessità. Ricordiamo, tra gli altri, i consulenti del lavoro, che rimarcarono il rischio di entrare comunque in un circolo di verifiche che avrebbero potuto portare anche al sequestro degli impianti per accertare le responsabilità del datore, un'eventualità nefasta in quel momento di estrema fragilità del tessuto produttivo. Perciò si chiese, in quel clima di arruffata legislazione emergenziale, di stabilire una sorta di 'scudo' di protezione a priori dei datori di lavoro "virtuosi".
Le tensioni non si sono mai del tutto sopite. Vedremo quale sarà l'effettiva linea dell'Inail a frnte dei casi concredi, e leggeremo per anni sentenze assai variegate a fronte dei ricorsi dei lavoratori e dei loro congiunti. Ultima arriverà la risposta degli assicuratori delle aziende, impegnati in forza della garanzia di RC verso i prestatori di lavoro.