Molto spesso il contratto di assicurazione contiene clausole che disciplinano i criteri per la valutazione del danno e la risoluzione delle controversie fra le parti. È importante distinguere con chiarezza i due aspetti, perché le conseguenze determinano il buon esito del sinistro.
La magistratura se n’è spesso occupata, e merita di essere ricordata la sentenza con cui, pochi anni addietro, Corte di Cassazione ha risolto il contrasto tra un assicurato e la compagnia che ne assicurava l'impresa per il rischio furto, sintetizzando così il proprio consolidato orientamento:
"Il patto contenuto nel contratto di assicurazione, in virtù del quale le parti demandino a terzi la composizione di eventuali contrasti, può essere di due tipi.
Ove le parti demandino a terzi la soluzione di questioni prettamente giuridiche (come l'interpretazione del contratto, l'accertamento della sua validità, la valutazione della sua efficacia), tale patto va qualificato come arbitrato, salvo valutare caso per caso se le parti abbiano inteso stipulare un arbitrato libero o rituale. Ove, invece, le parti abbiano inteso demandare a terzi il mero accertamento e rilievo di dati tecnici (esistenza del danno, valore delle cose danneggiate, stima dell'indennizzo), tale patto va qualificato come perizia contrattuale".
La questione era sorta perché l'indennizzo assicurativo era stato negato dall'impresa di assicurazione che riteneva l'evento fuori copertura. L'azione giudiziaria conseguente era stata dichiarata improponibile dalle corti territoriali, sul presupposto che il contratto obbligasse le parti a risolvere le controversie in sede di perizia contrattuale, con deroga quindi alla giurisdizione ordinaria per la risoluzione di ogni conflitto legato all'operatività della polizza. Il ricorso in Cassazione, dunque, aveva a oggetto la portata della detta clausola che, in effetti, demandava a un collegio di periti "la determinazione della misura dell'indennizzo".
Nel dare ragione all'assicurato, e quindi ritenendo (diversamente dai giudici di merito) percorribile l'azione giudiziaria nonostante la presenza della clausola, la Corte statuisce che occorre preliminarmente comprendere il tenore e la portata della clausola stessa, se sia cioè una clausola arbitrale vera e propria ovvero una mera perizia contrattuale. "Con la previsione dell'arbitrato le parti demandano ai periti un atto di volizione; con la previsione della perizia contrattuale le parti demandano ai periti una dichiarazione di scienza": in tale essenziale distinzione sta la differenza tra percorribilità o meno dell'azione giudiziaria e, quindi, l'accoglimento o meno del ricorso proposto dall'assicurato nel caso specifico.
Da questa distinzione di tipo sostanziale discendono varie conseguenze di tipo processuale. Tra le altre, la seguente: che la pattuizione d'una perizia contrattuale non impedisce alle parti di ricorrere al giudice per la risoluzione delle controversie che involgono la soluzione di questioni giuridiche, per la semplice ragione che tali controversie sono state escluse da quelle demandate ai periti. "Se così non fosse – precisano i giudici di legittimità – le parti del contratto verrebbero a trovarsi in una autentica aporia zenoniana: ai periti non potrebbero rivolgersi perché la lite esula dai loro poteri, e al giudice non potrebbero rivolgersi sinché non abbiano interpellato i periti".
Nel caso di specie, avendo la Corte d'Appello espressamente qualificato la clausola in esame come perizia contrattuale, la clausola stessa non inibiva alle parti la facoltà di domandare al giudice ordinario l'accertamento dell'esistenza, della validità o dell'efficacia della polizza, posto che tali questioni esulavano dal contenuto della clausola.
Così ristabilita la diversità strutturale tra clausola arbitrale e perizia contrattuale, la Corte, accogliendo la lamentela dell'assicurato, rimette la questione sulla possibilità di indennizzare o meno del danno da furto a un giudice di merito che questa volta dovrà decidere interpretando la polizza secondo diritto e volontà delle parti.